Ora vi racconto che cosa sta succedendo alla scuola pubblica italiana. Ve lo racconto io perché “nessun altro”* fino ad oggi si è preso la briga di farlo, ed invece il tema è importante, importantissimo. Ve lo racconto perché ci sto dentro fino al collo ma anche perché ci siete dentro fino al collo tutti voi.
Tutto comincia una bella mattina estiva, era il 21 agosto, dove eravate voi il 21 agosto? in Italia quando si parla di temi importanti ci si cura sempre con grande puntiglio di farlo in momenti in cui l’attenzione di tutti sia ben diretta. Altrove.
Il rappresentante di casta Ernesto Galli Della Loggia firma un editoriale sul Corriere dal titolo UNA SCUOLA PER L’ ITALIA nel quale con il tipico qualunquismo che si premura di annebbiare menti e giudizi, era il 21 agosto giova ripeterlo, parla di crisi della “scuola” come corpus, di “fallimento” di mancanza di “autorevolezza”, si lancia su un pippone sulle basi culturali e sull’istituzione politica per poi concludere:
Ridare profondità storico-nazionale alla scuola, ma naturalmente in vista delle esigenze che si pongono all’ Italia nuova di oggi e tenendo conto dell’ ambito e dei contenuti propri degli studi. E cioè, non volendo sottrarmi all’ onere di qualche indicazione, mirare innanzi tutto a ricostituire culturalmente (e per ciò che riguarda l’ istituzione anche organizzativamente) il rapporto centro-periferia e Nord-Sud, riaffermando il carattere multiforme ma unico e specifico dell’ esperienza italiana; in secondo luogo porre al centro, ed esplorare, il nostro tormentato rapporto con la modernità e i suoi linguaggi, mettendone a fuoco debolezze e punti di forza e cercando anche in questa maniera di costruirci un modo nostro di stare nei tempi nuovi, di averne l’ appropriata consapevolezza senza snaturamenti e scimmiottamenti; e infine ribadire la funzione della scuola nella costruzione della personalità individuale, principalmente attraverso l’ apprendimento dei saperi, delle nozioni, e la disciplina che esso comporta. Tutto ciò facendo piazza pulita delle troppe materie e degli orari troppo lunghi che affliggono la nostra scuola, e ricentrando con forza i nostri ordinamenti scolastici intorno a due capisaldi: da un lato la lingua italiana e la storia della sua letteratura, cioè intorno alla voce del nostro passato, e dall’ altro le matematiche, cioè il linguaggio generale del presente e del futuro universali. (grassetto mio)
A Galli Della Loggia i 66 anni suonano duri nella sua mente, è evidente che parla di una cosa che non conosce, con una competenza pari a zero. La scuola italiana non è un corpus unico, non si può trattare come un oggetto a sé stante. Ma si sa, bisogna fuggire la complessità, bisogna sforzarsi di essere qualunquisti. Ad esempio, ma faccio solo un esempio, la scuola primaria italiana risulta essere tra le migliori al mondo. Non lo dico io ma lo dice l’OECD, un organismo internazionale che si occupa di formazione, che ogni anno pubblica un’indagine che si chiama Education at a Glance che funge da monitoraggio della situazione dell’educazione e della formazione in tutti i paesi del mondo. Il documento prodotto è lungo 451 pagine ed è un documento complesso ed il sito web lo integra con tabelle e grafici, è un lavoro immenso.
Nell’introduzione si legge:
Education at a Glance – OECD Indicators 2007 provides a rich, comparable and up-to-date array of indicators that reflect a consensus among professionals on how to measure the current state of education internationally. The indicators provide information on the human and financial resources invested in education, on how education and learning systems operate and evolve, and on the returns to educational investments. The indicators are organised thematically, and each is accompanied by information on the policy context and the interpretation of the data. The education indicators are presented within an organising framework that:
• Distinguishes between the actors in education systems: individual learners, instructional settings and learning environments, educational service providers, and the education system as a whole;
• Groups the indicators according to whether they speak to learning outcomes for individuals or countries, policy levers or circumstances that shape these outcomes, or to antecedents or constraints that set policy choices into context; and
• Identifies the policy issues to which the indicators relate, with three major categories distinguishing between the quality of educational outcomes and educational provision, issues of equity in educational outcomes and educational opportunities, and the adequacy and effectiveness of resource management.
Lo so, è in inglese. Lo avranno letto? sapranno cosa c’è scritto?
Ernesto Galli Della Loggia, ricordatevi di lui quando ritornerete in argomento.
E comunque il dado è tratto, si scatena il dibattito. Il 21 agosto il Corriere vende otto copie e l’articolo di Galli Della Loggia passa inosservato, stranamente però il 22 agosto lo stesso quotidiano pubblica ben due lettere. La prima firmata Giulio Tremonti, dal titolo Il passato e il buon senso, la seconda da sua maestà Mariastella Gelmini intitolata Quarant’ anni da smantellare. I titoli, signori. Leggete questi vergognosi titoli.
Tremonti, abile come sempre a non dire niente, parla per due terzi dell’articolo di come i voti siano meglio dei giudizi con frasi come “Il ‘ 68 ha portato via i voti sostituendoli con i giudizi. I numeri sono una cosa. I giudizi sono una cosa diversa.”, oppure “Ci sarà del resto una ragione perché tutti i fenomeni significativi sono misurati con i numeri. Un terremoto è misurato con i numeri della scala Mercalli o Richter. Il moto marino è misurato in base alla scala numerica della «forza», la pendenza di una parete di montagna in base ai «gradi», la temperatura del corpo umano ancora in base ai «gradi».” e con la perla delle perle: “La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. I numeri sono insieme precisi e semplici. Il messaggio che trasmettono è un messaggio diretto.”. Eh no, caro Tremonti la tua mente potrà essere semplice, la nostra non lo è ed infatti rifuggi la complessità del problema, l’articolazione della scuola nella necessità che le realtà di qualità debbano essere costose, nell’incapacità già ampiamente dimostrata di saper gestire e di saper distinguere e di saper pianificare e di saper governare.
Ma, potrà sembrare ovvio, la colpa non è solo di Tremonti ma anche di chi l’ha votato e di tutti coloro che oggi tacciono*.
La Gelmini dal canto suo non so bene cosa dica, la lettera appare, come linguaggio e come contenuti, completamente fuori dal tempo:
Da quando ho assunto la responsabilità di ministro ho avanzato alcune proposte per cambiare uno stato di cose non più tollerabile. Voglio ricordarne alcune. Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell’ educazione civica, ritorno al maestro unico, rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale. Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. (grassetti miei)
Ma anche:
Ho condiviso finalità e misure della manovra economica del governo per i prossimi tre anni, oggi legge dello Stato; quella manovra prevede di ridurre il numero degli insegnanti e del personale ausiliario di meno del 10% entro il 2011.
Autorità? gerarchia? ma che cosa ci sta raccontando?
Un progetto che, non mi stancherò mai di ripeterlo, è aperto a tutti i contributi e vorrei vedesse tutti i protagonisti della scuola – studenti, insegnanti, famiglie – consapevoli del fatto che è impossibile difendere lo status quo e partecipi di un corale impegno, un impegno nazionale, per restituire alla scuola il senso della sua missione.
Talmente aperto a tutti i contributi che il consiglio dei ministri si riunisce il 28 agosto (dov’eravate voi il 28 agosto?) ed il primo di settembre (dov’eravate il primo di settembre?) tutti questi deliri da reparto geriatrico diventano un decreto di legge, il 137/08, che poi verrà approvato in questi giorni con un voto di fiducia. Davvero apertissimo, complimenti.
Il testo del decreto ve lo risparmio, vi cito solamente l’articolo 4 comma 1:
Art. 4. Insegnante unico nella scuola primaria
1. Nell’ambito degli obiettivi di contenimento di cui all’articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti di cui al relativo comma 4 e’ ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una piu’ ampia articolazione del tempo-scuola. (grassetti miei)
Il gioco è fatto. Gli anziani possono gioire. Galli Della Loggia ha avuto il maestro unico come nel suo lontano passato, Tremonti ha avuto il maestro unico come nel suo lontano passato, La Gelmini ha avuto il maestro unico come nel suo recente passato, ma certe persone nascono che sono già vecchie. Sono cresciuti maluccio, non vorrei per colpa del maestro unico, ma fa niente, come nella migliore tradizione cattolica si evangelizzino anche gli errori, solo il passato ha valore.
Ne ho già parlato, il corredo documentale al decreto del primo settembre si chiama “Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133”, lo trovate ad esempio qui. In questo documento quello che salta all’occhio è l’atteggiamento ipocrita di chi, con la scusa di intervenire per migliorare la situazione scolastica: “si riscontrano consistenti divari tra gli esiti scolastici degli studenti italiani e quelli degli altri paesi OCSE e ritardi significativi nei livelli di conoscenza e di competenza relativi agli apprendimenti di base ed in particolare della matematica e della comprensione linguistica.”, che è falso, attenzione non impreciso proprio spudoratamente falso, dicevo di chi con la scusa del “miglioramento” in realtà opera tagli insensati al limite del volgare.
A parte la questione che non è accessoria degli 87.000 esuberi solo dal corpo docente, per il resto non c’è nessun contraddittorio, nessun riferimento culturale, niente. il pedagogista di riferimento è Tremonti. O forse Galli Della Loggia.
Lo sapevate che dall’anno prossimo le scuole per l’infanzia saranno solo al mattino? lo sapete che il maestro unico nel contesto strutturale italiano è un’aberrazione? lo sapete che 24 ore sono poche? lo sapete che verrà ridotto anche l’orario di medie e superiori?
Mi sembra giunto il momento di riportare le parole di Piero Calamandrei, visto che poc’anzi ho definito “insensate” le misure previste dalla Gelmini eppure forse insensate non sono:
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.
Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime… Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.Piero Calamandrei – discorso pronunciato al III Congresso in difesa della Scuola nazionale a Roma l’11 febbraio 1950 (grassetto mio)
Di persone come Calamandrei in Italia oggi non ce n’è più. Possibile che questo non muova nessuno, mi chiedevo, possibile che nessuno ne parli*, mi chiedevo e mi chiedo? In effetti qualcuno si è arrabbiato, ed arrabbiato di brutto. Si tratta di Andrea Canevaro e Dario Ianes, rispettivamente Delegato (ProRettore) del Rettore per gli studenti dell’Università di Bologna con “bisogni speciali” e Docente di Pedagogia speciale 2, Didattica speciale 1 e 2 e Handicap Uditivo alla Facoltà di Scienze della Formazione primaria dell’Università di Bolzano, i quali fanno una cosa che in Italia non fa più nessuno, si dimettono dall’Osservatorio per l’Integrazione scolastica del Ministero della Pubblica Istruzione con una toccante lettera:
Queste politiche scolastiche sono evidentemente gestite da finalità economiche, per risparmiare: ma questo avverrà sulle spalle delle famiglie, sulla pelle degli alunni e sulla credibilità della scuola pubblica. Noi non ci stiamo.
Si tratta di un fatto gravissimo, soprattutto per quello che nella lettera non viene detto, perché, sapete, a volte le cose che non vengono dette spesso sono più importanti di quelle che vengono dette. Quello che non viene detto è molto chiaro: la scuola chiuderà le porte alle diversità, a tutte le diversità, perché solo i normali, i “puri” sono degni di partecipare. Sono discorsi già sentiti, sono discorsi nell’aria. Paura eh?
Tra i puri che sono degni di partecipare non si possono non citare le seguenti persone:
Aprea, Bondi, Bonaiuti, Adornato, Cicchitto, Garagnani, Colucci, Craxi, Testoni, Pizzo-Lante, Giacomoni, Boniver, Carlucci, Palmieri, Lainati, Pescante, Campa, Baldelli, D’Ippolito Vitale, Bocciardo, Della Vedova, Pelino.
Qualcuno lo conoscete, qualcuno ve lo presento io. Valentina Aprea è quella che doveva diventare Ministro dell’Istruzione che poi per un caso della vita è rimasta trombata, si deve accontentare della pensione che le deriverà dall’essere presidente della VII commissione (cultura, scienza e istruzione), si occupa da sempre di scuola, nel senso che da sempre si batte affinché la scuola pubblica venga buttata alle ortiche a favore della scuola privata. Gabriella Carlucci è quella che andava sui pattini.
La Aprea è prima firmataria di questo disegno di legge, vi prego di leggere bene il titolo:
Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la liberta` di scelta educativa delle famiglie, nonche´ per la riforma dello stato giuridico dei docenti.
Sì perché il cavallo di battaglia della Aprea è la “libertà di scelta”, l’idea sarebbe che senza equiparare le scuole private alle scuole pubbliche i genitori non abbiano la libertà di scegliere. La proposta di legge la trovate direttamente sul suo sito, è un pastrocchio scritto in un italiano pessimo e non vale una lettura. Ci si dilunga su questioni di lana caprina tanto cari alle destre come il concetto di “stato giuridico” dei docenti, assenza di “leadership” nella figura dei dirigenti scolastici, l’indispensabile “organo di valutazione professionale (standard, prestigio, immagine, promozione eccetera)”. Prestigio? Immagine? come vedete siamo sulla luna.
Insomma ve la faccio breve, tolto il fumo dagli occhi quello che la legge vuole è:
ART. 2.
(Trasformazione delle istituzioni scolastiche in fondazioni).1. Ogni istituzione scolastica puo` , nel rispetto dei requisiti, delle modalita` e dei criteri fissati con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro della pubblica istruzione, costituirsi in fondazione, con la possibilita` di avere partner che ne sostengano l’attivita` , che partecipino ai suoi organi di governo e che contribuiscano a raggiungere gli obiettivi strategici indicati nel piano dell’offerta formativa e ad innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualita` complessiva dell’istituzione scolastica.
Calamandrei: “Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.”
E ci siamo, anche con la lingua, anche con i nomi:
ART. 3.
(Organi delle istituzioni scolastiche).1. Gli organi delle istituzioni scolastiche sono:
a) il dirigente scolastico;
b) il consiglio di amministrazione di cui agli articoli 5 e 6;
c) il collegio dei docenti di cui all’articolo 7;
d) gli organi di valutazione collegiale degli alunni di cui all’articolo 8;
e) il nucleo di valutazione di cui all’articolo 10. (corsivo mio)
Il consiglio di amministrazione, capite? Infatti:
ART. 5.
(Consiglio di amministrazione).1. Il consiglio di amministrazione, nei limiti delle disponibilita` di bilancio e nel rispetto delle scelte didattiche definite dal collegio dei docenti, ha compiti di indirizzo generale dell’attivita` di istruzione scolastica (grassetto mio).
Quasi tutto il resto è fuffa. La scuola pubblica non sarà. Anzitutto non sarà pubblica, non ci saranno differenze percepibili tra scuola pubblica e scuola privata. Non sarà libera, come è tipico di quello che viene da chi si nasconde sotto alla parola “libertà”:
ART. 6.
(Composizione del consiglio di amministrazione).1. Il consiglio di amministrazione e` composto da un numero di membri non superiore a undici, ivi compreso il dirigente scolastico, che ne e` membro di diritto. Nella composizione del consiglio deve essere assicurata una rappresentanza dei docenti, dei genitori e, negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, degli studenti. Ne fanno parte, altresı`, rappresentanti dell’ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola ed esperti esterni scelti in ambito educativo, tecnico o gestionale ai sensi di quanto previsto dal regolamento di istituto di cui all’articolo 5, comma 1, lettera d). (grassetto mio)
Non sarà una scuola, sarà un’azienda. Non sarà gratuita, nessuno ce lo può più garantire. Non sarà autonoma, non sarà laica, ma quello già adesso. Non sarà per tutti, non sarà autonoma, non sarà ugualmente ricca, non sarà ugualmente bella.
Il quadro mi sembra completo. Decenni di lotte per migliorare l’istituzione scolastica andate in fumo per colpa di un manipolo di vecchi reazionari. E nessuno che muove un dito? non un insegnante in piazza, non un genitore che dica qualcosa*.
* E mi fermo qui perché sono incazzato, davvero incazzato.
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